Scarse e frammentarie sono le notizie che abbiamo intorno alle origini della famiglia documentata in Italia nel secolo undicesimo ma certamente anteriore se dobbiamo prestare fede alla tradizione che la vogliono discendente da un certo Guglielmo, un condottiero scozzese giunto in Italia nell’anno 774 al seguito degli eserciti franchi d’invasione.
Si narra infatti che il medesimo, giunto nei pressi di Piacenza, si ammalò e non potendo più riunirsi al proprio gruppo, prese moglie dando luogo ad una discendenza che, con alterne fortune, dura tuttora.
Il ceppo italiano, denominato con l’appellativo di Scoto, assumerà con gli anni la forma plurale di Scotti, nome con il quale è oggi conosciuta la famiglia.
Dal medesimo Guglielmo che probabilmente già aveva una propria famiglia nel suo Paese natale, hanno origine i Douglas scozzesi , un “clan” fra i più noti dell’intera nazione. Quasi per riallacciarsi ad una tradizione e nobilitare la stirpe, Marc’Antonio Scotti, intorno alla metà del secolo XVII scrive ai Douglas scozzesi rifacendosi ad antiche cronache nonché ad una recente pubblicazione che accomuna gli Scotti italiani ai Douglas scozzesi. E’ peraltro significativo il fatto che nel I404 l’imperatore Sigismondo, conceda agli Scotti di Vigoleno, l’attributo di Douglas quasi a voler togliere loro la genericità di un’origine incerta ed inserirli d’autorità in un “clan” prestigioso al quale del resto essi ambivano di appartenere.
Gli storici più scrupolosi tuttavia, in assenza di una documentazione certa, preferiscono far derivare gli Scotti piacentini da una progenie autoctona del ceto popolare assurta al rango gentilizio già in epoca comunale.
Il personaggio maggiormente rappresentativo di questo periodo fu senz’altro Giovanni che, cresciuto in potenza e ricchezza per effetto di una saggia condotta di oculati investimenti derivanti dall’esercizio della mercanteria, rivolse la propria attenzione al territorio che dalla pianura piacentina conduceva ai contrafforti appenninici fino al borgo di Agazzano. Consistenti acquisti e potenti alleanze contratte tramite l’attivissima “societas Scotorum” che operava con profitto da Genova sulle prospere piazze orientali, permisero al figlio di lui, Alberto di essere eletto nel 1290, podestà di Piacenza. In tale veste, quale capo della fazione guelfa, si distinse per le sue non comuni doti di stratega che rifulsero in particolare quando nel 1302 sconfisse Matteo Visconti facendolo prigioniero ed estendendo il dominio del suo partito fino a Milano e Bergamo da un lato, l’intera val d’Arda e Castellarquato dall’altro.
Incapace di amministrare con saggezza il potere acquisito venne in odio ai suoi stessi sostenitori che si rifiutarono di appoggiarlo militarmente contro l’inevitabile reazione dei ghibellini condotti da Giangaleazzo Visconti. Questi, nel 1317 lo assediò nella sua fortezza di Castellarquato e presolo prigioniero lo tradusse nella roccaforte di Crema ove morì dopo pochi mesi.
Francesco Scoto, figlio e fedele collaboratore del padre ma dotato di sano realismo, riconobbe la supremazia viscontea nell’intera area controversa e, stipulato un accordo federativo con Azzo Visconti, succeduto al padre, ottenne benefici e privilegi quali l’esenzione da qualsiasi tributo sia nei confronti del Signore di Milano che della Chiesa alla quale non doveva corrispondere le decime di rito. A Francesco veniva inoltre confermata la concessione di tenere mercato “sui villa Agazzani” incamerando i relativi dazi per la sistemazione delle sue proprietà. Il termine “villa” è forse qui da intendere più nella terminologia francese di centro abitato che non in quello letterale italiano di casa signorile.
Non risulta né qui né altrove menzionata la rocca almeno fino al 1475 allorchè Francesco Scotti e successivamente il figlio Bartolomeo chiedono agli Sforza, subentrati ai Visconti nella signoria di Milano, l’autorizzazione a riedificare la rocca danneggiata da un incendio e dall’usura del tempo.
L’imponente struttura che oggi si mostra all’attento visitatore rappresenta il risultato dei lavori d’inglobamento del preesistente manufatto con la sapiente disposizione degli spazi che conferisce all’insieme un’armoniosa fusione tra la concezione militare del fortilizio e l’idea rinascimentale di una residenza signorile stabile ispirata ai canoni di una discreta agiatezza.